Quando i cliché si spacciano per cultura

Quando i cliché si spacciano per cultura

pubblicata da Rosalba Valente il giorno mercoledì 10 novembre 2010 alle ore 4.24

 

 

 

 

  In perfetto conformismo leghista, Romano Bracalini sciorina una sequela di stravanganze che colpiscono come strali storti …. duro come il ferro, però!

E cos’ altro ci si poteva aspettare dal leghista vicedirettore del TG3 se non di arroccarsi per bene sulla superiorità di razza dell’abitante del Nord della Penisola? E non importa se per questa santa crociata viene sacrificato il rigore della conoscenza dei fatti e dell’informazione.

Tanto per incominciare, la cartina dell’Italia sulla copertina del suo ultimo libro, che vorrebbe il “Nord preunitario” meglio funzionante “da solo”,  è quella delle regioni dell’attuale Italia amministrativa  che nulla ha a che vedere con la situazione  geopolitica della Penisola negli anni dal Congresso di Vienna (1814-1815) fino all’ annessione del Regno delle Due Sicilie sotto la corona sabauda (17 marzo 1861).

Da notare la linea di confine, di fantasia leghista, che situa gli Abruzzi fuori dal vituperato Sud , cioé l’ex Regno dei Borbone di cui gli Abruzzi Citra e Ultra sono parte integrante.

Ma al di là di questo grossolano errore sullo stato di fatto politico dell’Italia preunitaria, di quale Nord che funzionava meglio parla Bracalini? Il Nord era  spezzettato, ahimè, ben lontano dalle fantasie culturali leghiste .

 A cosa allude per “il nord”, Brancalini? : al Piemonte del Regno di Sardegna, sotto la sovranità dei Savoia ? Al Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, sotto i Borbone-Parma? Al Ducato di Modena e Reggio, sotto gli d’Asburgo d’Este? Al Granducato di Toscana, sotto gli Asburgo-Lorena? Al Lombardo-Veneto, sotto l’ Impero Austriaco? Oppure alla Legazione di Bologna o alla Legazione di Romagna sotto la sovranità del Papa?

Sembra che Bracalini abbia scritto il suo “saggio” senza una precisa nozione del passato nè una vera coscienza dello stato di fatto degli equilibri europei in gioco.

A metà dell’ottocento, Torino contava 140.000 abitanti. Il liberismo sfrenato, sostenuto da Cavour, aveva reso estremamente penosa la situazione di sfruttamento delle classi più deboli, soprattutto nella periferia industriale, totalmente prive di tutela giuridica e di rappresentanza politica. Chi era povero a Torino, come nel resto dell’Europa ( a partire dall’Inghilterra o dalla Francia come ben descrivono Engels, Dickens, Zola …) nella seconda metà del XIX secolo, laddove imperversava il capitalismo selvaggio,  era povero di tutto: non solo di mezzi economici, ma anche e soprattutto di salute, di cultura, di istruzione.

E nonostante questo l’erario dello Stato era in condizioni disastrose poiché le corrutele erano troppe, come ebbe a denunciare il deputato Angelo  Brofferio, : «Il pubblico erario dilapidato per saziare l’ingordigia dei nuovi favoriti; lussi di sbirri e di spie all’infinito; espulsioni, arresti, perquisizioni; la guardia nazionale ordinata a servizio di polizia e non a difesa nazionale. Nessuna libertà di persona, di domicilio, di stampa; ogni associazione vietata; uomini senza fede e senza carattere onorati…». C’ erano già i raccomandati, come oggi d’altra parte e sopratutto nei ranghi leghisti.

E Cavour ammette alla Camera subalpina il 1 luglio 1850: «So quant’altri che, continuando nella via che abbiamo seguito da due anni, noi andremo difilati al fallimento. E che continuando ad aumentare le gravezze, dopo pochissimi anni saremo nell’impossibilità di contrarre nuovi prestiti e di soddisfare gli antichi».

 

E vogliamo parlare la situazione del Lombardo-Veneto? Imprestiamo le parole di Salvemini: “…. di fronte agli altri paesi dell’Impero Austriaco: l’Austria assorbiva imposte e le versava al di là delle Alpi; considerava il Lombardo-Veneto come il mercato delle industrie boeme; con un sistema doganale ferreamente protezionista, ne impediva lo sviluppo industriale. I Lombardi erano allora ritenuti fiacchi e privi di iniziativa, ed era ormai ammesso da tutti che il popolo lombardo era “nullo”. Cristina Belgiovoso pubblicava degli “Studi su la storia di Lombardia” nei quali cercava di spiegare “il difetto di energia dei Lombardi” e gli scrittori d’oltralpe spiegavano le condizioni arretrate di questi italiani con l’inferiorità della razza. Messa in condizioni favorevoli la Lombardia ha smentito questo cliché; lo stesso è del Mezzogiorno oggi di fronte all’Italia Settentrionale”.

Di fatto  ciò è quanto è stato imposto dalla tradizione  voluta da Carlo Bombrini e rigorosamente seguita governo dopo governo in 150 anni ( lasciamo perdere i falsi “aiuti” rivelatisi trucchetti per riassorbire ulteriori risorse  al Nord;  non occorreva dare niente come alla Fiat o alla Olivetti ecc…. solo lasciarci in pace a intraprendere, tutt’al più dotare al pari di infrastrutture nord quanto Sud). Il Bombrini fu  amico di Cavour, senatore del Regno d’Italia, Governatore della Banca Nazionale del Regno d’Italia dal 1861 al 1882, uno dei  fondatori della società industriale Ansaldo e  tra i promotori dello smantellamento delle  industrie del meridione d’Italia, prima fra tutte quella di Pietrarsa. Egli presentò il piano economico-finanziario di alienazione di tutte le fabbriche dell’ex Regno delle Due Sicilie. Nel 1863, quando gli operai di Pietrarsa protestavano per l’imminente chiusura dell’ industria pronunciò la sua sentenza nordista ben accolta dalle imprese settentrionali: «Non dovranno mai essere più in grado di intraprendere», riferendosi all’imprenditoria meridionale. Il suo piano di dirottare verso la sua Ansaldo tutte le commesse neutralizzando Pietrarsa, anzi facendola sparire,  ebbe gli effetti sperati. Così fu per le tante fabbriche tessili, per  le ferriere di Mongiana e  le tante scelleratezze dettate dal vorace egoismo Settentrionale che è ben vivo e vegeto ancora oggi nelle intenzioni e nell’azione leghista. Un esempio per tutti: quel federalismo fiscale alla Calderoli per cui le imprese settentrionali lucrerebbero affari nelle regioni del Sud ma, avendo le sedi fiscali nelle regioni del Nord ad esse ne pagherebbero accise e imposte alle regioni del Nord. Una nuova forma di protezionismo, insomma, tutta a favore dell’arricchimento settentrionale …. lasciando alle regioni meridionali il ruolo di fornire manodopera a basso costo ( le agognate mentecatte  “gabbie salariali”  proproste con perfida furbuzia) come in tutti questi decenni di “unità” è stato fatto: i milioni di italiani del Sud sparpagliati fuori dalle loro contrade ne è la testimonianza. Altroché “non hanno voglia di lavorare”!

“Si è vero, noi settentrionali abbiamo contribuito qualcosa di meno ed abbiamo profittato qualcosa di più delle spese fatte dallo Stato italiano, peccammo di egoismo quando il settentrione riuscì a cingere di una forte barriera doganale il territorio ed ad assicurare così alle proprie industrie il monopolio del mercato meridionale” ( LUIGI EINAUDI)

 

D’altra parte si sa che quando, durante tutti i governi del regno sabaudo, il Veneto fu trascurato nelle opportunità di sviluppo, i suoi figli (del Veneto) furono accomunati nella stessa sorte di emigrazione per fame che è toccato alla gente del mezzogiorno d’Italia in cerca di lavoro sottopagato al pari dei meridionali  ( buone le rimesse e i fiumi di liquidità provenienti dall’ estera, neh!?) . Solo dopo il 1946, con le politiche a sostegno dell’imprenditoria,  il Veneto poté compiere il suo miracolo.

Quando invece tali attenzioni non c’erano, ecco una idea della situazione in cui versavao i miracolosi, dallo stralcio di un lungo articolo dedicato al Commercio marittimo dell’Austria, pubblicato in due puntate nel 1856 sul New York Daily Tribune:

“Trieste possedeva, al pari degli Stati Uniti, il vantaggio di non avere nessun passato. Costruita da una variopinta folla di commercianti e speculatori italiani, tedeschi, inglesi, francesi, greci ed ebrei, tirava a campare una moltitudine composita di miriade di pitocchi in cerca d’una occupazione, al passaparola con amici o conoscenti del rione, al girovagare tenace strada per strada, officina per officina, opificio per opificio; oppure spesso, nei casi peggiori, al prolungato bivacco sui moli in attesa di un qualche veliero da scaricare in qualità di facchini ad ore.

Una folla descritta nel Rapporto sul pauperismo del 1864, composta da anziani impotenti al lavoro, fanciulli lasciati a se stessi, da forestieri, disoccupati, ex incarcerati, prostitute, vagabondi, braccianti stagionali, artigiani degli squeri, pescatori sul lastrico, mondatrici di caffè e, per ultimo, da donne non maritate madri “di quella miseranda caterva di bastardi i quali, se esposti, vanno a carico del comune, se cresciuti nella casa natìa, restano abbandonati o negletti” (Commissione al Pauperismo, 1864).

“IL Nord? Da solo funzionava molto meglio” mischia fischi con fiaschi, parla di mille floridi comuni, delle cento splendide Signorie (di puro feudalismo, con diritto di vita e di morte del signore sulla plebe), di repubblica democratica di Firenze (!?) , della potente oligarchia di Venezia (è tutto dire quanto a liberalità!) …. a parte che sposta la descrizione del Nord preunitario  a secoli prima del “Risorgimento” confondendolo probabilmente con il “Rinascimento”, ci vede anche dell’omogeneità in queste forme di governo così tanto difformi tra loro.

Bracalini pronuncia un altro falso storico quando attribuisce a Giustino Fortunato una associazione tra Regno delle Due Sicilie e Turchia. Un falso storico di stampo leghista sempre affascinati dalle stravaganze culturali. E’ vero invece che il parlamentare lucano, nel neoregno italico sabaudo, che pure aveva cospirato contro i Borbone per l’“unità”,  denuncia al parlamento quanto segue: “L’unità d’Italia è stata purtroppo la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico sano e profittevole. L’ unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente all’opinione di tutti, che lo stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che in quelle meridionali”

 A parte, poi, che Bracalini dovrebbe viaggiare in Turchia e si renderebbe conto che, per esempio, i servizi di trasporto di corriere in quel Paese farebbero impallidire quelle lombarde per igiene, efficienza e servizio:  steward che serve rinfreschi con i guanti; e non sto scherzando, ci ho viaggiato.

Costantino Nigro è stato segretario di D’azeglio e poi di Cavour, come Farini, corrotto e corruttore, e da buon piemontese di allora, con racconti sul governo dei Borbone fra i più menzogneri giacché bisognava giustificare l’usurpazione con la scusa di alti ideali, tipo il “salvataggio” dalla tirrania. A se stesso e al governicchio che serviva, Nigro doveva attribuire  le parole riportate da Bracalini! Di fatto, ecco ancora una testimonianza sul modo di fare del governo nordico nelle regioni dell’ex Regno dei Borbone, tanto invidiato: “… diminuito, anzi annullato il commercio; serrati i privati opifici. E frattanto tutto si fa venir dal Piemonte, persino le cassette della posta, la carta per gli uffici e le pubbliche amministrazioni. Non vi ha faccenda nella quale un onest’ uomo possa buscarsi alcun ducato che non si chiami un piemontese a sbrigarla. Ai mercanti del Piemonte si danno le forniture più lucrose: burocrati del Piemonte occupano tutti i pubblici uffizi, gente spesso ben più corrotta degli antichi burocrati napoletani. Anche a fabricar le ferrovie si mandano operai piemontesi i quali oltraggiosamente pagansi il doppio dei napoletani. A facchin della dogana, a camerieri a birri, vengono uomini del Piemonte. Questa è invasione non unione, non annessione!… Il governo di Piemonte vuole trattare le province meridionali come il Cortez ed il Pizzarro facevano nel Perù e nel Messico, come gli inglesi nel regno del Bengala”.  FRANCESCO PROTO CARAFA, Duca di Maddaloni.

E che dire della tiritera contorta sulle presunte cattive finanze addotta dal Bracalini circa lo stato di cose del Regno delle Due Sicilie!. 4.5 lire sabaude  per 1 scudo borbonico, le prime in  carta a corso forzoso e il secondo in monete di oro e argento, quotato alla borsa di Parigi, può significargli qualcosa?  La cessione di Nizza e Savoia per ripagare una parte del suo, del regno sabaudo, debito da voragine suggerisce qualcosa?

E se non bastasse, lasciamo  dire allo statista quanto gli fosse appetibile  il Regno dei Borbone: “Come ha potuto solo per un momento uno spirito fine come il tuo, credere che noi vogliamo che il Re di Napoli conceda la Costituzione. Quello che noi vogliamo e che faremo è impadronirci dei suoi Stati “ CAVOUR (all’ambasciatore  Ruggero Gabaleone, 1860 )

Circa le ferrovie , le prime due locomotive furono acquistate dalla società inglese Longridge Starbuck e Co. di Newcastle-Upon Tyne. In seguito,  le locomotive furono costruite a Pietrarsa, e commisionate  anche da altri stati italiani. Il Piemonte, ad esempio, acquistò nel 1847 sette locomotive napoletane (nominate: Pietrarsa, Corsi, Robertson, Vesuvio, Maria Teresa, Etna e Partenope. “ Il centenario delle ferrovie italiane 1839-1939”, Pubblicazione celebrativa delle FF.SS, Roma 1940,) mentre i vagoni sin da principio furono costruiti a Napoli, nello stabilimento di San Giovanni a Teduccio. E anche di queste  il governo piemontese commissionò. Il Piemonte è ancora ricordato per quei 866 km di ferrovie, ma non si dice che furono costruite a debito tartassando di imposte i piemontesi e andando a rimpinguare l’enorme Debito Pubblico che quello Stato lasciò in eredità all’Italia. Nella concezione economico-fiscale-sociale del Regno delle Due Sicilie, invece, i programmi di sviluppo erano pianificati compatibilmente alla “sostenibilità”, cioè proporzionati alle risorse disponibili senza contrarre debiti. Il 15 Ottobre del 1860 Garibaldi, insediatosi dittore di Napoli, annullò tutte le convenzioni in atto  per le reti ferroviarie in Sicilia, dal Tirreno all’Adriaticofino allo Ionio, stipulandone delle nuove con la società livornese Lemmi e Adami che poi non ne fece nulla. La realizzazione dei progetti est-ovest nel Sud fu abbandonata dai governi unitari  i quali erano più interessati a sviluppare collegamenti delle linee Sud-Nord per agevolare il trasferimento della mano d’opera meridionale al Nord. Per l’appunto!: “Non dovranno mai più essere in grado di intraprendere”… E vi ingannate l’anima se non ne siamo capaci! Lo abbiamo sempre fatto all’estero dove ce ne hanno lasciato le opportunità, senza la palla al piede dei governi nordici per il Nord. 

Rosalba Valente

 

Quando i cliché si spacciano per culturaultima modifica: 2010-11-10T19:53:00+01:00da tonyan1
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