La Lombardia era paese agricolo e poverissimo ( ma Galli della Loggia non lo sa)

La Lombardia era paese agricolo e poverissimo ( ma Galli della Loggia non lo sa)


Di Antonio Ciano

Oggi la Lombardia è la regione più ricca d’Italia, forse anche d’Europa. Ma 150 anni fa non era così, anzi, i lombardi erano ritenuti un popolo fiacco dagli austriaci, e venivano considerati i vaccari dell’Impero austro ungarico, e i suoi abitanti costretti ad una emigrazione spaventosa.
A Ernesto Galli Della Loggia, amante dell’agiografia risorgimentale, non rimane che strombazzare le sue trombe stonate contro Edoardo Bennato, grande cantautore napoletano, che con altri cantanti meridionali, sta mettendo il dito sulla piaga infetta del risorgimento momarchico-liberal massonico che per noi del Sud è stato un vero cancro, ancora oggi in metastasi.
Il Partito del Sud è nato per estirparlo una volta per sempre, e con esso i partiti che hanno tratto linfa da quella cultura e da quella filosofia capitalistica ad personam e ad Familiam, un capitalismo senza regole, un capitalismo becero che ha sfruttato masse enormi di settentrionali e meridionali, per difendere il quale i savoia si macchiarono di stragi e di eccidi di cui la storia non ne ricorda di più truculenti. Ma cominciamo a vedere cosa era la Lombardia.

La Lombardia era paese agricolo
La gente del Sud si chiede come sia potuto succedere che lo Stato savoiardo abbia saccheggiato, in nome della patria, le ricchezze di uno Stato libero ed indipendente fino al 13 febbraio del 1861 e di aver drenato tali ricchezze verso la Padania dell’onorevole Bossi che pure abbiamo sentito vituperare i Savoia, causa, secondo lui, di quella pseudo-unità d’Italia che al Sud nessuno voleva e che è costata un milione di morti, 25 milioni di emigranti e la disarticolazione del Reame. È nostro intendimento confrontare e raffrontare le economie del Regno delle Due Sicilie e quelle del Piemonte prima e dopo l’unità e come quest’ultimo abbia assassinato economicamente, socialmente, eticamente, politicamente e intellettualmente il Sud. In questo ci serviamo di scritti di meridionalisti di parte borbonica come Ludovico Bianchini9) e di meridionalisti al servizio della causa unitaria come Francesco Saverio Nitti10 il quale dopo aver ponderato più di ogni altro le cause che provocarono l’improvviso benessere del Nord ha cercato di andare alle radici del problema ricercando e studiando l’improvviso impoverimento del Sud.
Come dicevamo,nel 1860, il Regno delle Due Sicilie era ricco e prospero, il debito pubblico esiguo, quasi inesistente, le imposte progressive e non gravose. L’esazione di queste procedeva con una semplicità tale che gli attuali ministri delle Finanze farebbero cosa gradita agli italiani se ne studiassero il sistema e lo applicassero. Nel Regno di Sardegna il regime fiscale era mostruoso; tasse su tasse si susseguivano, si sovrapponevano, escogitate dai vari governi per spennare i piccoli e per dare ai grandi. Il debito pubblico era grande come una montagna alta 8 mila metri. Cavour, esaltato come un grande statista dagli intellettuali prezzolati di regime, era in realtà una frana, in dieci anni aveva portato il suo Paese alla bancarotta totale: senza l’annessione dei vari staterelli del Nord e soprattutto degli Stati Pontifici e del Regno delle Due Sicilie, il Regno di Sardegna era condannato a morte. Data la scarsità di risorse dello Stato piemontese e la povertà della gente, nemmeno la vendita di Nizza e Savoia e l’acquisto della Lombardia portò i benefici desiderati, perché, allora la patria di Bossi viveva di un’agricoltura poverissima, senza industrie ”…La Lombardia, ora così fiera delle sue industrie- dice Nitti- non aveva quasi che agricoltura; il Piemonte era un paese agricolo e parsimonioso…” (Nitti, Nord e sud, Laterza Editore, pag 446).

Ordinamenti amministrativi ottimi, finanza onesta
Che fare? Fallire oppure invadere i ricchi territori del Sud? Con l’aiuto della massoneria internazionale fu possibile la seconda soluzione. Alla massoneria interessava distruggere il modello politico che stava dando frutti dorati nel Regno delle Due Sicilie. Alla massoneria interessava mettere le mani sulle ricchezze della Chiesa, degli ordini monastici, del demanio pubblico, del Tesoro, delle banche. Una volta dichiarata l’unità d’Italia, al Piemonte non restava che far pagare al Sud i debiti che il suo Primo Ministro aveva contratto con le banche inglesi e con i Rothschild, massoni anche loro. Come? Facile, unificando le finanze dei vari Stati annessi. Favorirono le mene del Cavour i cosiddetti emigranti napoletani, cioè i liberal-massoni fuoriusciti dal Reame, a Napoli, ritenuti traditori della patria, e lo erano. Nel 1857, uno di questi “esuli”, Antonio Scialoja, attaccò il governo borbonico con un libro dal titolo “ I bilanci del Regno di Napoli e degli Stati Sardi”11) . questo lacchè pagato dal governo piemontese non si curava della veridicità delle cose dette e scritte ma solo d’arrecare danno ai Borbone e confusione così come aveva fatto Gladstone con le sue lettere a Lord Aberdeen. Francesco Saverio Nitti, uomo politico e meridionalista, così parla di quel libro: “…cosa era il libro di Scialoja? Un’affermazione politica, pari a quella che faceva Pasquale Mancini, proclamando in Torino il principio di nazionalità né l’uno né l’altro si preoccupavano forse della precisione storica e della verità scientifica [… ]Dei Borbone si può dare qualunque giudizio:furono fiacchi, non sentirono i tempi nuovi, non ebbero altezza di vedute mai, molte volte mancarono di parola, molte volte peccarono; sempre per timidità, mai forse per ferocia. Non furono dissimili dalla gran parte dei principi della penisola, compreso il Pontefice. Ma qualunque giudizio che si dia di essi non bisogna negare che i loro ordinamenti amministrativi erano spesso ottimi; che la loro finanza era buona, e in generale, onesta…”12).
A suffragare le affermazioni di Nitti ci viene in aiuto il signor Vittorio Sacchi, amico del Conte di Cavour, direttore delle contribuzioni e del catasto del Regno di Sardegna, mandato a Napoli dal Ministero piemontese per regolare e governare le finanze napoletane dal 1° aprile al 31 ottobre del 1861. La finanza napoletana, organizzata da un uomo di genio, il cavalier Medici, era forse la più adatta alla situazione economica del paese. Le entrate erano poche e grandi e di facile riscossione. Base di tutto l’ordinamento fiscale era una grande imposta fondiaria. Questa era così bene organizzata che rappresentava un vero contrasto col Piemonte, dov’era assai più gravosa e di difficile riscossione. Riferisce il Sacchi nella sua relazione al governo piemontese:” Il sistema di percezione della fondiaria era incontrastabilmente il più spedito, semplice e sicuro che si avesse forse in Italia. Lo Stato, senza avervi quella minuziosa ingerenza, che vi ha in Francia e nelle antiche Province, ( del Piemonte, ndr) ove si fece perfino intervenire il potere legislativo nella spedizione degli avvisi di pagamento, aveva assicurato a periodi fissi e ben determinati l’incasso del tributo, colle più solide garanzie contro ogni malversazione per parte di contabili.”(Francesco Saverio Nitti, Scritti sulla Questione Meridionale, Nord e Sud, Editori Laterza,1958, pag 473)

Cristo! I Savoia spennarono i nostri avi, li costrinsero a vendere per pochi soldi terreni e case per pagare la tassa sul macinato e quella sulla spremitura bestiale del loro sudore per arricchire il Nord, per industrializzarlo, per renderlo prospero e fecondo di imbecillità.
Le finanze napoletane erano ricche perché chi più aveva più pagava. La ricchezza non veniva considerata un peccato, ma chi era ricco sapeva che doveva contribuire positivamente al bilancio dello Stato. L’imposta sulla proprietà fondiaria era riscossa nel modo più economico possibile per quei tempi. Oggi, questo Stato non è capace di riscuotere le tasse dai cittadini che dovrebbero pagarle, e cioè i ricchi. Si parla di oltre 250 mila miliardi di vecchie lire di evasione all’anno, mentre pensionati, operai, impiegati e commercianti sono allo stremo, scannati dal sistema fiscale “piemontese”che Cavour ci ha regalato. Ici, iciap, irpeg, tosap, tasse regionali, tasse sulla salute, tasse provinciali, comunali, scolastiche, inps, inail, sui bollettini di conto corrente, sulle cambiali, tasse di registro e di bollo, tassa sulla benzina, sul bollo, sulla proprietà, sui ticket, sui tabacchi, sul sale, sullo zucchero, sui balconi, l’irpef, l’iva. Non sappiamo quante tasse siamo costretti a pagare, forse 330 in un anno, fatto sta che la gente è stufa, e parliamo di quella costretta a dichiarare il proprio reddito dal quale l’Amministrazione finanziaria preleva fino al 60%. I commercianti, eccezione fatta per alcuni, son costretti alla chiusura dei loro esercizi straziati dalle tasse, dalle banche strozzine, quasi tutte, dai supermercati a capitale quasi tutto padano e soprattutto dalla politica filo-nordista dei vari governi di destra e di sinistra. Ciro Esposito e Gennaro Scognamiglio, vestiti da finanzieri vengono mandati a reprimere i commercianti e gli artigiani del Nord e del Sud, fanno credere loro che i nuovi briganti appartengono a quelle categorie e che l’evasione stia nel pacchetto di caramelle venduto senza scontrino. Questo solo per accelerare la chiusura dei negozietti a conduzione familiare e per favorire i grandi supermercati del Nord. La colonizzazione è quasi compiuta e se non ci ribelliamo a questo sistema di merda moriremo di fame e di stenti, come 140 anni fa.

Nel Regno delle Due Sicilie oltre all’imposta fondiaria si pagavano tasse sul lotto, sui tabacchi, sulle carte da gioco, imposte tenuissime sui trasferimenti di proprietà e sugli scambi, esenzione quasi assoluta sulla ricchezza mobiliare. Il commercio interno aveva ogni agevolazione mentre la ricchezza immobiliare veniva gravata di tributi; le tasse di registro erano tenuissime; l’ordinamento delle fedi di credito del Banco di Napoli, mirabilmente semplice, rendeva inutili le registrazioni. <<>

Dal 1848 al 1860 nel Regno delle Due Sicilie non vi furono imposte nuove né si aumentarono le vecchie. In Piemonte la gente emigrava verso la Francia e i paesi sudamericani a causa delle tasse pesantissime. La tirannia savoiarda in quel regno era asfissiante, i lavoratori e i contadini preferivano lasciare la propria terra per non morire di fame e di stenti: Cavour, grande statista per gli stolti di regime, indebitò il Piemonte fino alla bancarotta totale, aumentò le tasse sulle polveri e sui tabacchi, sulla carta bollata, sui diritti di manomorta, sui trasferimenti delle proprietà e gravò di nuove tasse le poche industrie che esistevano sul territorio, aumentò pure le trattenute sulle pensioni elargite dal governo. Le entrate del Regno delle Due Sicilie, nel 1860, non raggiungevano i 175 milioni: 110.409.676 lire nel continente e di 65 milioni nella Sicilia(<<>>, anno II, 1864, v. anche Giustino Fortunato, Il dovere pubblico, Napoli 1899, pag. 39.). Le entrate del Regno di Sardegna, che aveva metà della popolazione del Regno delle Due Sicilie, nel 1859 erano di 144.332.371 lire ( Francesco Saverio Nitti, Scritti sulla Questione Meridionale, Editori Laterza, Bari, 1958, pag.44).

Cioè, ogni cittadino piemontese pagava in tasse il doppio di un napolitano.
Fra il 1848 e il 1859 i disavanzi del bilancio piemontese furono di circa 370 milioni e quelli napoletani di 139. Cavour, per contenere il debito pubblico, fu costretto a vendere tutto il patrimonio pubblico: ferrovie, terre demaniali, industrie di Stato. Al contrario i Borbone incrementarono detto patrimonio facendo nascere fabbriche di prim’ordine come quella di Pietrarsa, quella di Mongiana in Calabria, i cantieri navali di Castellammare di Stabia e molte altre più piccole.

Nel 1860 il Regno delle Due Sicilie era all’avanguardia rispetto agli altri Stati della penisola e di fronte a questi la situazione era la seguente, data la sua ricchezza e il numero dei suoi abitanti:
1) Le imposte erano inferiori a quelle degli altri Stati.
2)I beni demaniali ed i beni ecclesiastici rappresentavano una ricchezza enorme, e nel loro insieme, superavano i beni analoghi posseduti dagli altri Stati.
3) Il debito pubblico, tenuissimo, era quattro volte inferiore a quello del Piemonte, e di molto inferiore a quello della Toscana.
4) Il numero degli impiegati, calcolati sulla base delle pensioni nel 1860, era di metà che in Toscana e di quasi metà che nel Regno di Sardegna.
5) La quantità di moneta metallica circolante, ritirata più tardi dalla circolazione dallo Stato, era in cifra assoluta due volte superiore a quella di tutti gli altri Stati della penisola uniti assieme.( Nitti, Nord e Sud, Laterza Editori, Bari, 1958, pp. 483-484 )
Uomini senza scrupoli come Cavour e Bastogi, come Quintino Sella pensarono a come impoverire il Sud a favore del Nord, scientificamente, matematicamente, criminalmente. I debiti contratti da Cavour furono scaricati sulle spalle dei Meridionali e le ricchezze dell’ex Regno delle Due Sicilie vennero saccheggiate per intero.
Afferma Francesco Saverio Nitti a pag 484 di Nord e Sud che “…due furono i grandi nuclei che formarono il Regno d’Italia: il Regno di Sardegna e quello delle Due Sicilie. Il primo aveva un’importanza economica di gran lunga minore; con una superficie e una popolazione presso a poco della metà, le finanze in disordine…”

Il Sacchi rimase a bocca aperta sfogliando e catalogando le leggi fiscali del Reame. Studi di economisti di pim’ordine, il cav. Medici, Ludovico Bianchini e più tardi Agostino Magliani, considerati tra le menti più eccelse nel campo economico e finaziario del tempo, avevano modellato il sistema fiscale borbonico ritenuto ottimo dal Sacchi che ne ammirava la semplicità dei sistemi di riscossione, che ne lodava il sistema di tesoreria e a cui voleva modellare il servizio del debito pubblico nazionale:”…le scienze economiche, altrove generalmente sconosciute alla classe degli impiegati, erano qui generalmente professate. Facili e pronti i concetti, purgata ed elegante la lingua, si scostavano le scritture degli uffici da quell’amalgama di parole convenzionali che altrove rimpinzano le corrispondenze ufficiali. In una parola, nei diversi rami dell’amministrazione delle finanze napoletane si trovano tali capacità di cui si sarebbe onorato ogni qualunque più illuminato governo…”( F.S. Nitti, Ibidem, pag. 484-485) Ma il Piemonte era uno Stato arretrato, smanioso di conquiste, bramoso di arricchirsi, da vero parassita, alle spalle del Sud.

Dopo la proclamazione dello Statuto, negli anni 1852-53 erano stati ministri delle Finanze piemontesi Thaon di Revel, Ricci e Nigra: le cose peggiorarono, il popolo ebbe a soffrire la gravissima tassazione, ogni ribellione veniva soffocata nel sangue. Cavour assunse il dicastero il 20 aprile del 1851 e lo tenne fino al 22 maggio del 1852, lo riprese il 5 novembre del 1852, lo mantenne fino al 15 gennaio del 1858. In quegli anni egli portò alla bancarotta totale il Regno di Sardegna. Niente riforme fiscali al di là di qualche correzione o modifica alle norme generali di tassazione. Una vera frana. Nel 1853 fece sparare sulla folla affamata ed inferocita che chiedeva pane.

Tratto dal libro di Antonio Ciano “Le stragi e gli eccidi dei savoia” ,2° Volume

La Lombardia era paese agricolo e poverissimo ( ma Galli della Loggia non lo sa)ultima modifica: 2010-04-01T16:59:30+02:00da tonyan1
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