Più divisi che mai.

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A poche settimane dall’anniversario dei 150 anni di unificazione stiamo assistendo a uno squallido litigio tra le cariche istituzionali, non soltanto per il puerile problema della istituzione della nuova festa nazionale, ma anche di problemi di concussione e di prostituzione minorile.

Sono due problemi indicativi di quale sia la vera essenza dello Stato italiano, nato con i favori di una cortigiana (contessa di Castiglione) e con gli imbrogli plebiscitari, per non parlare delle stragi, rapine e le migliaia di scandali venuti fuori in 150 anni di annessione degli Stati preunitari. Uno Stato burletta che voleva diventare una grande potenza mandando a morire centinaia di migliaia di napolitani per avere le colonie in Africa per sua maestà sciaboletta e con le inutili guerre mondiali.

Oggi l’Italia si picca di essere la quinta potenza economica mondiale e che sarebbe la quarta o la terza se non avesse la palla al piede della Napolitania. Come se il Nord si fosse fatto da sé e non per aver sfruttato le braccia dei napolitani, usandoli anche come mercato per i suoi prodotti che non venderebbe a nessuno. Tremendo dilemma del verde Tremonti che per sincerarsene si è fatto un giretto sui trenini napolitani. Il provolone forse pensa che facendo viaggiare più veloci i “terroni” l’economia potrebbe andare più forte.

Purtroppo in 150 anni noi napolitani non abbiamo mai avuta una classe politica che facesse i nostri interessi, non solo perché i napolitani capaci non si buttano in queste competizioni elettorali, ma anche perché se è uno che rompe i coglioni fanno presto a buttarlo fuori, come hanno immediatamente fatto nei primi parlamenti di questa Italia “unita”. Così siedono negli scranni solo i ciucci venduti per un piatto di minestra. I più preparati preferiscono, purtroppo sbagliando, andarsene fuori, all’estero.

D’altra parte i parlamentari di questa italietta, ma anche persone di cultura, non hanno, per ipocrisia o per ignoranza, alcuna immagine di cosa sia veramente uno Stato nazionale. Ne hanno tutt’al più un’immagine a brandelli, fatta per lo più di cose puerili, tipo il “risorgimento” italiano, hanno cioè un’immagine inesistente, per cui si spiegano gli scandali, il cinismo, e persino la nascita del fascismo i cui disvalori furono frutti proprio del più gretto pensiero risorgimentale fatto di tintinnar di sciabole e di “avanti savoja”.

C’è da vergognarsi di appartenere a questo Stato. Ma per noi Napolitani la sola vergogna sarebbe poca cosa. Noi non abbiamo più nemmeno gli occhi per piangere visto che siamo i colonizzati di questo squallido Stato che, come disse il vecchio principe di Metternich, è solo un’espressione geografica. L’Italia non esiste, né è mai esistita. Dopo 150 anni di annessione, osservando cosa siamo e cosa abbiamo fatto, si può tranquillamente affermare che non esistono gli italiani. Ben a ragione affermò Vittorio Feltri (su Libero, 21 luglio): «la nostra è una nazione soltanto formalmente, e il sentimento nazionale di conseguenza è un valore retorico, cioè detto e ripetuto ma per nulla sentito dai cittadini e dai loro rappresentanti eletti per spirito di parte più che per amministrare il bene comune. Se del 150° anniversario dell’Unità neppure si parla, e se per celebrarlo non esistono progetti all’altezza, il motivo è tristemente semplice: la maggioranza degli italiani lo considera una iattura da non festeggiare».

Ma ben più interessante è l’altra affermazione dello stesso Feltri: : «La Lega Nord punta al federalismo non potendo dichiarare di ambire alla secessione. Il Mezzogiorno, terrorizzato sia dal federalismo sia dalla secessione, si organizza: sta dando corpo a una Lega Sud il cui mandato è arraffare milioni per contrastare i piani di Bossi e garantirsi contributi europei e sovvenzioni romane (…) La politica si barcamena; è una specie di pendolo che oscilla tra due esigenze: dare al Sud per non perderne i voti e non togliere troppo al Nord per non accelerarne il processo centrifugo. Il Triveneto, dove la Lega bossiana si accinge a diventare, se non lo è già, il primo partito, ha un piede nella Mitteleuropa e cerca con rabbia di metterci anche l’altro con tanti saluti all’odiata Patria».

Insomma questa Italia, che di fatto non c’è mai stata se non formalmente, quelli che sono al potere vogliono tenerla a tutti i costi in piedi, altrimenti finisce la loro lauta greppia e non saprebbero dove andare per campare così bene. Il “sentimento nazionale” non esiste, è solo retorico, bisogna tirarlo fuori solo quando è necessario, per le partite di calcio forse. Per cui lascia pure che si fottano questi “meridionali”, basta fargli vedere un po’ di biada che ritornano pacifici nelle loro stalle di nuovo pronti ad essere usati, magari in Afghanistan per difendere il petrolio di Moratti. Questa Italia non è una nazione.

La Napolitania, invece, è una nazione. Noi napolitani tutti ce l’abbiamo nel cuore, la sentiamo come Patria. Cosa che non sentiamo se ci riferiamo a tutta la penisola che consideriamo solo un contenitore nel quale solo chi è più furbo sopravvive e si sollazza, altrimenti deve emigrare.

Cosa dunque c’è da festeggiare? Sono loro, sempre loro, quelli che sono al potere che vogliono festeggiare, perché così esaltano le loro gozzoviglie e gli scandali impuniti: titoli bancari fasulli, ferrovie d’oro, malasanità, trasporti, porti, aeroporti, carceri d’oro, missioni umanitarie, tangentopoli, parmalat, unipol, evasori fiscali, calciopoli, savojopoli, telecom, vallettopoli, lavoro nero, appalti pubblici, rifiuti tossici scaricati al Sud, vino adulterato, truffe alimentari, cliniche degli orrori, semafori truccati, abusi edilizi, panettoni con uova marce, transessuali al parlamento e chi ne ha più ne metta.

Fatta l’Italia, restano a fare gli italiani”, cianciò non senza ironia l’acuta mente di Massimo d’Azeglio. Di quali italiani parliamo? Dei valorosi “briganti” napolitani che lottarono per salvare la propria Terra, dei soldati napolitani morti a Fenestrelle e nei lager dei Savoja per fare questa Italia, della nostra economia devastata e saccheggiata per fare questa Italia, dei milioni di emigranti napolitani costretti a lasciare la propria casa perché c’era da fare l’Italia?

Prima ritorniamo ad essere indipendenti e meno problemi avremo.

Antonio Pagano

Più divisi che mai.ultima modifica: 2011-02-20T12:30:30+01:00da tonyan1
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