Un pamphlet anti risorgimento
“I savoia peggio dei briganti, hanno saccheggiato il Sud”.
di Bruno Ventavoli
La lotta al brigantaggio pullula di mattatoi simili. Per sconfiggere quei ribelli al risorgimento, un po’ mascalzoni e un po’ romantici lealisti dei Borbone, i piemontesi impiegarono più di dieci anni. E non risparmiarono mezzi militari né trovate crudeli, mentre i giornali spalleggiavano la campagna contro il “terrorismo”, invocando punizioni esemplari, come sempre accade quando le guerre si dicono “giuste”. Decine di paesi distrutti, prigione senza processo, soldati consumati dal freddo nelle carceri del nord, esecuzioni, delazioni, terrore quotidiano. Per par condicio c’è da dire che le masnade dei briganti facevano altrettanto. E’ una pagina poco edificante dell’unità d’italia, ma ampiamente studiata dagli storici, e acquisita dalla comunicazione di massa. Vancini raccontò al cinema il massacro di Bronte, gli Stormy Six cantarono in musica l’eccidio di Pontelandolfo. “Ma se mettiamo tutti i fatti insieme” dice Aprile, “ciò che colpisce è l’entità della violenza. Il nord visto da Sud è Caino. Arrivarono i sedicenti fratelli e compirono, a scopo di rapina, il massacro più imponente mai subito da queste regioni. Non è un caso che i musei del risorgimento siano quasi tutti al centro o al nord”.
A giudicare dalle campagne militari non si può dire che i piemontesi siano partiti col piede giusto. E dall’altra parte, tra gli ex sudditi borbonici, nessuna colpa? “Certo che ce ne sono state”, dice Aprile. “Ma il problema è che il Sud ha perso le sue istituzioni, le sue industrie, la ricchezza, di colpo. E il vuoto è stato colmato da una classe dirigente di mediocri, profittatori, voltagabbana, mafiosi, spesso complici dei nuovi padroni. Il Meridione è stato spremuto di tasse, pagava di più un sasso di Matera che una villa a Como. Ha perso la propria gente. Migliaia sono emigrati, lasciando per tre-quattro generazioni una società senza padri. E poi il danno più grave: c’è stata una lobotomia culturale, il Sud è stato privato della memoria e della consapevolezza di sé”.
Da La stampa di giovedì 11 marzo pp 32