Appassita l’agricoltura, bloccata l’industria fordista della catena di montaggio, ridimensionata la spesa pubblica a favore dello Stato Sociale, tramontato l’artigianato dei servizi, favorita una specie di corporazione illiberista, o il monopolio di stampo quasi mafioso, nei servizi di aggiustaggio, i giovani meridionali si sono riversati nelle università, in tal modo allungando gli anni della formazione. Oggi questi giovani sono una marea montante, ma manca la risacca di un intervento statale. I giovani che mi vedo attorno sono un mare di speranze frustrate, di speranze inquinate dalla coscienza dell’inutile attesa. Gli anni passano, ma non si leva un solo filo di vento a muovere le onde. La stessa identità personale vacilla, si corrode, crolla in molti casi. Il mondo (e non il sistema) diventa un nemico. Ma l’Italia politica, la greppia politico-parlamentare romana, locale provinciale, il grande padronato bancario e industriale restano sordi al grido disperato, muto, indifferente alla disperazione giovanile che incalza per le vie delle grandi città, dei paesi, dei borghi. Il capitalismo ha le sue regole: impiega gli uomini che gli servono: gli individui e i gruppi nazionali più pieghevoli, più malleabili, quelli disposti ad accettare paghe basse , al lavoro senza orario, le persone costrette ad avere disprezzo per la propria salute, quelle che hanno preventivamente rinunciato a rivendicazioni politiche e sindacali, gli extracomunitari che sono preferiti e accolti. Quel che i capitalisti invocano dai governi è l’abbassamento della curva dei salari attraverso la presenza di morti di fame.
Nell’industria norditaliana la componente extracomunitaria è rilevante. Siamo oltre i due milioni di persone, quanto sarebbe stato sufficiente a dare un’alternativa alla disoccupazione meridionale. Si è preferito dare spazio alla componente più debole dell’esercito industriale di riserva, e non certo in omaggio a un principio di umanità, come ben evidenziano le condizioni disumane in cui vivono gli extracomunitari non ingaggiati al lavoro, ma per ottenere bassi salari e innalzare il grado di sfruttamento del lavoro dipendente. Due milioni di salvataggi non incidono il problema della fame e della disperazione del Sud del mondo, che riguarda tre o quattro miliardi di esseri umani. Più generoso sarebbe stato aprire la frontiere ai prodotti agricoli e dell’allevamento africani e latino americani.
Comunque, extracomunitari o meno, c’è uno Stato italiano, e questo Stato deve affrontare i problemi del Mezzogiorno, illusoriamente posto nel grembo di una società nazionale su cui lo Stato esercita la sua sovranità. Le famiglie hanno investito e investono enormi risorse su questi loro figli, estromessi dalla vita sociale. Si tratta di cifre da capogiro, che vanno dai 150 mila euro ai 400 mila euro pro capite. Moltiplicando per due o tre milioni di disoccupati si arriva alle migliaia di miliardi che il Sud butta nel cesso nazionale a ogni generazione. Ma le cifre sono un’escogitazione statistica. Quel che conta è l’esistenza morale di questi giovani. O il sistema affronta il problema, o crolla..
Nicola Zitara