Il caso Campania

Tumori in aumento, un dossier su trent’anni di veleni

di Chiara Graziani

Tre indizi fanno una prova. Un gruppo di scienziati italiani pubblicano oggi sull’autorevole rivista scientifica statunitense Cancer Biology and therapy il caso Campania. Ed esibisce alla comunità scientifica mondiale la prova del disastro sanitario inflitto alla regione da trent’anni di rifiuti di tutta Italia smaltiti con logica criminale in Campania:  soprattutto nelle martoriate areee a nord di Napoli e a sud di Caserta, classificate nel rapporto «ad alto indice di pressione ambientale».

Prova messa insieme dalla lettura rigorosa degli studi condotti finora che richiedevano solo di essere messi in fila e lasciati parlare. E sovrapponendo le mappe degli sversamenti,  abusivi e no,  a quelle dove tumori e malformazioni crescono. L’area nera, dunque, è quella fra Napoli e Caserta e sul litorale domizio. In queste due zone ad alto rischio – ma altre sono sotto esame come l’agro nocerino – le morti per cause riportabili al bombardamento degli agenti inquinanti da rifiuti sono state più del dovuto. Una morte in più basterebbe.

Ma il rapporto ci avverte che si tratta del 9,2 per cento di uomini e del 12, 4 di donne in più: dati aggiornati al 2009. Non solo. Anche le malformazioni congenite sono moltissime di più del normale: vengono prese ad esempio quelle urogenitali e quelle al sistema nervoso. Le prime sono addirittura l’82 per cento in più, le seconde quasi l’84 per cento in eccesso rispetto a quanto sarebbe normale. Dati già tremendi ma, avverte il rapporto, ancora distanti dalla realtà.

«I dati a disposizione sono notevolmente indeboliti», si legge nell’articolo, da come gli studi vengono condotti e dalla qualità dei dati che si ottengono. Occorrebbe mirarli meglio. Ed è questo lo scopo che il team di scienziati si propone. Maddalena Barba, oncologa dell’Human Health foundation di Spoleto, fra le prime firme con quella di Ignazio Marino, medico e parlamentare, Antonio Giordano dell’università di Siena e Alfredo Mazza sottolinea che ora occorre fare di più:

«Abbiamo delle evidenze più che suggestive. Il nostro compito di scienziati è sottolineare ora l’esigenza di indagare più e meglio il nesso fra sversamento dei rifiuti e i tumori. Abbiamo, ad esempio, un caso Caserta, dove aumentano i tumori al fegato. Occorre puntare sul territorio ed organizzare studi mirati. Cosa che è anche nei nostri intenti». Finora le evidenze sono gravissime ma sparse. Ad esempio uno studio su muschi esposti ad Acerra per tre mesi in venti siti diversi dall’università Federico II ha dimostrato che le piante si sono imbevute di metalli pesanti (Alluminio, arsenico, cadmio, rame, piombo zinco).

Un altro indizio sono i risultati dello studio del Dna di venti rane lasciate libere in varie zone. «Quelle dell’area nord della regione hanno riportato seri danni al Dna»
, dice l’articolo citando uno studio del 2009. Il rapporto, nella sezione affidata ad una napoletana, Carla Guerriero, attualmente a Londra alla School of Hygiene and tropical medecine, si dedica anche ai costi economici del disastro rifiuti. La Guerriero ci dice che le morti «premature», quelle che non avrebbero dovuto verificarsi, sono 848 l’anno e che 403 di queste sono per tumore. Bonificare la Campania costerebbe 143 milioni, secondo stime accettate.

Spenderli ci frutterebbe un risparmio, avverte la studiosa, di due tipi. Le malformazioni alla nascita calerebbero del 25%, immediatamente. Per i tumori occorrerebbero altri trent’anni per smaltire la sbornia da rifiuti. Ma le nuove generazioni ne sarebbero fuori. Questo porterebbe anche risparmi economici. Già nel 2009 erano stimati in 11 miliardi di euro. Nel 2010 sono stati calcolati a 12 i miliardi che la Campania recupererebbe in qualità della vita, minori spese sanitarie, normalizzazione del ciclo dei rifiuti. Liberarsi dal giogo dei rifiuti sarebbe il nostro più grande affare  ( fonte: Il Mattino del 07/06/11 )

da: http://www.chiaianodiscarica.it/?p=1603


Il caso Campaniaultima modifica: 2011-07-07T19:08:00+02:00da tonyan1
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