Ecco perchè una Napolitania indipendente è una nazione vincente.

Mediterraneo: il futuro è a sud. Una Nuova Via della seta
Scritto da Antonio Passaniti
giovedì 24 febbraio 2011
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La crisi che stiamo vivendo, pur profonda  e grave ( la peggiore dal dopoguerra) ,prima o poi, passerà. Ma l’errore più grande sarebbe considerarla come un brutto episodio ormai in via di risoluzione.
Perché?
Premesso che la crescita rimane il problema centrale dell’economia italiana:
a) perché i tempi della ripresa saranno lunghi: si parla del 2018. 8 anni sono tanti…
b) Nell’annus horribilis 2009, gli scambi internazionali sono crollati del 13% e in un solo trimestre la produzione industriale è precipitata addirittura del 50%.
c) Ci sono segnali che nel giro di un paio d’anni si recupererà tutto e l’economia mondiale riprenderà a crescere fin da quest’anno con una media tra il 4 e 5%: ma con una media, appunto…
d) Usa e Europa oggi fanno,complessivamente, la metà del pil del pianeta, ma molto presto, prima di quanto si sia portati a immaginare, non sarà più così
e) La Cina, nel primo trimestre di quest’anno ha fatto registrare un +11,9%, mentre l’area Euro sta a un +1 e qualcosa e gli Usa superano di poco il 3.
f) Ad esempio,Il Giappone, già dal 1995 sta anticipando il declino dell’Occidente: allora pesava per il 16% sull’economia mondiale, oggi è sotto l’8%.
h) Le previsioni a lungo termine,se non si procederà a sostanziali correzioni di rotta, danno per il 2050 la Cina con con un Pil di 70 mila miliardi, e gli Usa sotto i 40 mila miliardi, seguiti dall’India.
i) Le famiglie americane sono oggi indebitate per oltre il 120% del Pil del loro Paese e il debito pubblico è in forte crescita anno su anno.
L) L’Europa balbetta, prigioniera delle sue rigidità, dei suoi localismi, della sua storica scarsa propensione all’innovazione.
F) Nei prossimi anni, cresceranno oltre ai “bric” altri paesi erroneamente considerati ancora Terzo Mondo.Sono i “Next eleven”, cioè i paesi con un potenziale altissimo in grado di entrare nel giro di qualche decennio tra le maggiori economie del mondo: Bangladesh, Egitto, Indonesia,Iran, Messico, Nigeria,Pakistan, Filippine,Corea del Sud, Turchia e Vietnam.

Ogni giorno 2mila navi fanno scalo nei porti del Mediterraneo. Come dire 750mila tonnellate di merci l’anno. Da gennaio, inoltre, una decina di paesi della sponda sud dell’area hanno abbattuto i dazi negli scambi commerciali, pur non essendoci ancora una zona di completo libero scambio. E i risultati si sono subito visti: nei primi tre mesi dell’anno il nostro l’export è cresciuto del 23,2 per cento. I dazi pesano quindi sul livello dell’interscambio, specialmente per un’Italia che, superando Francia e Germania, è diventata il primo partner commerciale del Mediterraneo, da sempre «Mare nostrum».

Ecco perché la mancata creazione di un’area di libero scambio nel 2010, come stabilito dal Processo di Barcellona, impone la riprogrammazione di un’agenda comune che scandisca tempi e modalità (anche per il 2030, ma con certezze).La mancata creazione di un’area di libero scambio è un’occasione perduta per tutti: «Agli oltre 26 negoziati che uniscono a livello globale i paesi dei cinque continenti, all’appello manca appunto lo spazio economico Euromed».

Ma il Mediterraneo non va visto solo come un’area commerciale.Dobbiamo impegnarci anche a rafforzare la filiera produttiva a rete tra i vari paesi in modo da integrare i sistemi produttivi sia investendo in corridoi logistici sia in piattaforme produttive». Quest’anno il target delle nostre esportazioni è fissato a 22 miliardi di euro nel comparto industriale (rappresenta il 95% di tutto il nostro export verso l’area), comunque una cifra record.

E le aspettative sono elevate. In un paio d’anni la meta possibile è quella di piazzare beni per 30 miliardi, grazie a un’ottimale combinazione tra vendite e investimenti. Questi ultimi vanno visti nei due sensi: il made in Italy può esportare l’esperienza dei distretti produttivi (nell’abbigliamento e nella pelletteria o in alcune lavorazioni meccaniche) mentre gli imprenditori esteri possono far tesoro delle nostre tecnologie avanzate, ma adattabili all’attuale livello di sviluppo dei diversi paesi.

L’obiettivo è quello di creare un mercato unico con questi paesi, senza dazi e protezionismi:
Il progressivo processo di integrazione euro-mediterranea costituisce dunque per il made in Italy un’opportunità e una sfida. Giova ricordare che la sponda sud del Mediterraneo esprime una ricchezza pari a quella del Brasile e superiore all’India. Il Mediterraneo attira più investimenti diretti esteri del Mercosur e gioca un ruolo chiave nell’energia.

Ecco qualche cifra. Nei porti mediterranei passa un terzo del commercio mondiale: «Circa il 30% del petrolio mondiale, due terzi del fabbisogno energetico Ue transitano per questo mare. Le potenzialità di sviluppo sono dunque evidenti e il nostro paese, insieme all’Europa, non può trascurarle».

Ma l’attuale contesto geopolitico e economico sta delineando nuovi scenari per l’Ue e l’Italia in particolare.Il nostro futuro sarà euromediterraneo o non sarà.Con 280 milioni di abitanti, un terzo del commercio mondiale,energia in grande quantità, Paesi in forte espansione economica  e demografica, il Mediterraneo rappresenta la vera sfida lanciata all’Europa.
L’ascesa del Mediterraneo si basa essenzialmente sulla crescita della produzione asiatica e sul conseguente flusso di merci che attraversano il “nostro mare” per raggiungere i consumatori europei e occidentali. La crisi ha provocato un drastico calo del traffico, ma non è difficile immaginare che prima o poi tornerà a crescere, e di molto. Su questo scommettono gli investitori che negli ultimi anni hanno concentrato centinaia di miliardi di dollari sullo sviluppo dell’area mediterranea, in particolare dei paesi Meda (Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Palestina, Siria, Tunisia e Turchia, più Libia come osservatore). Se il 40% degli investimenti esteri nella regione restano europei, ormai il 30% proviene dal Golfo, mentre Brasile, India, Cina e altre economie ruggenti sono al 20% e gli Stati Uniti al 10% (rispetto al 25% di dieci anni fa). Già oggi, quindi, noi europei (e in specie noi italiani), stiamo perdendo quota nella competizione mediterranea”.

La geografia  colloca l’Italia in prima linea,al centro dell’incrocio tra Maghreb ed Europa continentale; ma se non ci muoviamo velocemente, saranno altri che si accaparreranno un mercato potenziale enorme che se agganciato allo spazio europeo potrebbe aggregare un terzo del pil mondiale entro la metà del secolo (oggi l’Ue da sola è al 23%, ma  potrebbe scadere al 15% se non agganciasse la sponda Sud). Secondo una stima della Federazione del mare il Pil che nasce nel Mediterraneo è pari a 4 mila miliardi di Euro, destinato a crescere esponenzialmente in vista della liberalizzazione del mercato nel Mediterraneo entro il 2010. Nonostante un terzo dell’interno commercio mondiale transiti fra Suez e Gibilterra, l’Italia fatica a intercettarlo per la cronica carenza di infrastrutture portuali e di trasporto terrestre che non ci rende competitivi rispetto ai grandi hub del Nord Europa e ormai anche del sud (si pensi al gigantesco porto di Tangeri).
Dobbiamo invertire questa tendenza e trasformare il nostro impegno economico e produttivo nell’area mediterranea se non vogliamo accelerare il declino dell’Italia.

da: http://www.legnostorto.com/index.php?option=com_content&task=view&id=3134

Ecco perchè una Napolitania indipendente è una nazione vincente.ultima modifica: 2011-03-06T18:25:34+01:00da tonyan1
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