Alla riemersione della verità cancellata: la questione della lingua e della nazionalità

Alla riemersione della verità cancellata:
la questione della lingua e della nazionalità

di Giuseppe Luxa

Avete visto la recente puntata di “Vieni via con me” di Roberto Saviano? Vi ricordate quando il giornalista ha affermato che i primi, almeno in Italia a fare la raccolta differenziata siamo stati noi, qui al Sud con i Borboni? Ebbene, questo fatto ci mette intanto dinanzi ad una verità storica, che per quanto possa sembrare banale è un dato inconfutabile: esisteva un Reame nell’Italia meridionale indipendente e sovrano.

Ora la domanda è: questo Reame fu frutto di un capriccio della geopolitica oppure ad esso corrispondeva effettivamente anche un popolo con caratteristiche etniche e culturali sue proprie che ne giustificasse l’inclusione in uno Stato?

Rispondere a questa domanda significa intanto, poter avere un argomento in più per essere legittimati a reclamare dallo stato centrale quanto essa reclama per se, ma con maggior o minor forza a seconda delle conclusioni alle quali perverremo.

Significa poi, per poter addivenire a tali conclusioni, quali che esse siano, operare un lavoro di interessante e complessa “archeologia storica”: essa si impone, poiché se è vero che 150 anni di dominio “Italiano” hanno ahimè cancellato la memoria di un popolo, tuttavia, è pur vero che, come del resto neanche trenta milioni di anni sono stati in grado di cancellare dalla storia le tracce dei dinosauri, 150 anni sono davvero pochi per poter cancellare l’impronta dell’esistenza di un popolo, quello napolitano o duosiciliano, ammesso che sia mai esistito, impronte apparentemente invisibili, ma che saltano all’occhio dell’osservatore attento.


I cognomi

Prendiamo in esame innanzitutto i cognomi: si può innanzitutto notare come ci sia una corrispondenza di tipo univoco tra i cognomi napoletani e quelli della restante parte di quello che fu il Reame di Napoli. Ciò significa che troviamo a Napoli cognomi diffusi o che fanno riferimento alla Puglia, alla Calabria, all’Abruzzo, al Molise, alla Calabria o alle rimanenti provincie campane: il viaggiatore che volesse rendersi conto di dove si trovi precisamente all’interno del Reame soltanto leggendo i cognomi delle insegne dei negozi o dei necrologi si troverebbe in estrema difficoltà.

Tra i cognomi napoletani troviamo ad esempio Postiglione, Auletta, Contursi, Cosentino, Pugliese, Di Ceglie, Calabrese, Mercogliano, Foggia, Messina e così via.

Invero, questi cognomi si ritrovano anche in altre città d’Italia, ma in numero infinitamente minore e comunque si scopre praticamente nella quasi totalità dei casi che i signori che portano i succitati cognomi sono in gran parte figli di napoletani o napolitani emigrati all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale, quando, grazie all’alleanza con gli Stati Uniti d’America, l’Italia conobbe quello che è passato alla storia come il “miracolo economico”, per la verità circoscritto al solo Nord, complice una precisa ed occulta volontà della classe politica e bancaria (basti pensare che, ancora oggi, per avere 1.000.000 di € in prestito dalla banca al Nord bastano 100.000 € di garanzie mentre al Sud il rapporto è identico, ma a rovescio), mentre il Sud si avviava a divenire, per il momento, terra d’emigrazione mentre più tardi sarebbe addirittura diventato il merdaio nel Nord.

Ciò cosa significa? Significa che a partire dal medioevo parecchie persone sono emigrate dalle varie regioni del Reame a Napoli, probabilmente per trovare lavoro. Non andavano a Roma, a Firenze, a Milano o a Torino: andavano a Napoli, probabilmente perché la riconoscevano come la propria capitale, perché anche spostandosi di centinaia di chilometri lì si sarebbero comunque sentiti a casa. Quindi questa gente aveva un senso dello Stato, che si identificava in quello Borbonico.

Lo stesso fenomeno lo si riscontra a Palermo, l’altra capitale del Reame e non a caso parecchi cognomi come Russo, Greco, Grasso e così via sono cognomi tipici sia di Napoli che di Palermo o comunque Siciliani e come nel precedente esempio una simile corrispondenza non si trova tra Napoli o Palermo e le rimanenti città d’Italia eccetto ovviamente le precitate eccezioni figlie del periodo post secondo conflitto mondiale.


Le tradizioni

Ancora, le popolazioni di quello che fu il Reame Borbonico eccellono ancora oggi per virtù simili: eccellenti pasticcieri sono sia i napoletani che i siciliani, maestri in pietanze ittiche sono sia i pugliesi che i napoletani, cuochi di piatti speziati all’inverosimile sono sia calabresi che siciliani. Anche qui, simili analogie non si trovano tra i territori del Reame e le restanti parti d’Italia, dove ad onor del vero la locale tradizione pure ha saputo sfornare eccellenti pietanze, ma di tutt’altra fattura. Ancora, l’onomastico al Nord non esiste mentre in tutto il territorio del Reame ognuno di noi è solito festeggiare nel giorno in cui ricorre il santo con il nome del quale siamo stati battezzati e l’elenco potrebbe continuare a lungo.


La lingua

Passiamo ora all’argomento più spinoso, più oscuro e che più si presta a speculazioni di ogni sorta sia a favore che contro la tesi dell’esistenza dell’effettiva esistenza di nazionalità napoletana o duo siciliana: la questione della lingua. Innanzitutto c’è da prendere atto di quella che è la verità storica: non è vero che prima dell’unità d’Italia il dialetto napoletano fosse la lingua ufficiale del Reame e che questo venisse poi in seguito soppiantato dall’italiano.

L’italiano era già dal medioevo la lingua ufficiale di tutti gli stati italiani preunitari, Napoli e Sicilia compresi. Ma come arrivò l’italiano a diventare lingua ufficiale di tutta l’Italia ancor prima che questa fosse unita politicamente?

Ciò avvenne all’epoca dei mercanti fiorentini, i quali avevano invaso tutta l’Europa coi loro traffici e le loro mercanzie, e, grazie a loro, l’italiano divenne per un periodo la lingua franca d’Europa come oggi lo è l’inglese. Poi successivamente, sotto la spinta del francese, l’italiano vide restringersi drasticamente il proprio areale di diffusione, tuttavia non ritornò mai negli angusti confini della Toscana ma rimase confinato alla penisola italiana, dove aveva bene attecchito tra le locali classi dirigenti che lo avevano fatto stabilmente proprio in virtù della comune matrice latina delle proprie parlate. Dunque un esame superficiale sembra trovare nella lingua una argomentazione contraria all’effettiva esistenza di nazionalità napoletana o duo siciliana e favorevole alla tesi unitaria.

Ad un esame approfondito invece si scopre che l’adozione del volgare toscano come lingua ufficiale da parte di tutti gli stati italiani preunitari non significa proprio nulla, anzi non significa assolutamente nulla. Se si da un’occhiata a ciò che avviene nel mondo si scopre che i casi in cui troviamo corrispondenza biunivoca tra la lingua e un popolo sono più l’eccezione che la regola, ovvero quasi mai troviamo un popolo con una sola lingua o una sola lingua adottata da un sol popolo.

Gli esempi si sprecano: l’America latina parla per la quasi totalità spagnolo eppure non ci verrebbe mai, neanche in sogno, di considerare un messicano “aspirante connazionale” un argentino, gli USA e la Gran Bretagna parlano entrambi inglese.

Altri esempi in cui due o più nazioni adottino la stessa lingua ufficiale: Brasile e Portogallo,  Moldavia e Romania, Cipro e Grecia, Francia, Canada e Belgio, Germania, Austria e Svizzera, Italia e Svizzera, Egitto, Tunisia, Sudan, Marocco e Yemen e l’elenco potrebbe continuare ancora molto a lungo.

Non solo, all’opposto, è altrettanto frequente che un popolo adotti come ufficiali due o più lingue, a volte completamente diverse le une dalle altre. Anche qui gli esempi si sprecano: Canada (francese e inglese), Svizzera (francese, italiano e tedesco), Spagna (castigliano e catalano), Cipro (greco e turco) ed anche qui l’elenco potrebbe essere lungo.

Il problema è che la lingua ufficiale viene scelta dalle classi politiche, per cui questa puo’ anche essere molto distante dal popolo che si trova a doverla imparare per avere a che fare con la pubblica amministrazione: basti pensare che, la lingua ufficiale dell’Inghilterra è stata per secoli, e fin quasi ai giorni nostri, il francese (avete letto bene). Per rintracciare una possibile esistenza di una nazionalità comune non è dunque alla lingua ufficiale che bisogna guardare, ma a quella volgare, a quella che il popolino non scolarizzato parla nella sua quotidianità.

Ecco che allora la situazione cambia completamente: i dialetti del Reame sono molto simili tra loro, tanto simili che possono ridursi a due soli grandi gruppi, tra l’altro anche questi molto simili tra loro: il napoletano e le sue varianti, diffuso in tutto il reame eccetto la Sicilia, la Calabria meridionale e la provincia di Lecce, dove invece si parla il Siciliano, anch’esso con le relative varianti. I confini politici del reame sono dunque ancora presenti, ma oggi non sono delimitati più dalla classica linea rossa sulle cartine geografiche, ma dai dialetti.

Usando il proprio dialetto, accade infatti che un gaetano capisca un ragusano molto più di quanto un ciociaro capisca un gaetano … Eppure Gaeta non è in Ciociaria ma poco ci manca ma dista da Ragusa un migliaio di chilometri. Naturalmente oggi non ci sogneremmo mai di abbandonare l’italiano, che nel frattempo si è evoluto ed è diventato la nostra lingua madre anche più del dialetto, che abbiamo adottato più o meno spontaneamente (caso più unico che raro nei fenomeni di adozione da parte di un popolo di una lingua non autoctona) e che nessun invasore ci ha mai costretto a imparare e che comunque, emancipatosi dalla ristretta cerchia delle mura del paesino medioevale, è più ricco di espressioni, di lessico, di letteratura, tuttavia è indispensabile non perdere la memoria storica e l’uso del dialetto, che ci ammonisce continuamente ricordandoci chi veramente siamo e la nostra collocazione nel panorama geopolitico planetario.


Conclusioni

Alla luce delle suesposte riflessioni possiamo rispondere affermativamente alla domanda che ci siamo posti poc’anzi: Il Regno delle Due Sicilie non fu affatto il frutto di un capriccio della geopolitica ma ad esso corrispondeva effettivamente un popolo con caratteristiche etniche e culturali comuni che ne giustificò l’inclusione in un unico Stato. Il risorgimento non fu che un atto di arbitraria delegittimazione e di conquista da parte di un altro stato Italiano, il Piemonte, i cui regnanti in cambio dell’aiuto dei francesi, prendendo come scusa proprio l’identità della lingua ufficiale, che in se per se, come abbiamo visto, non significa nulla, non esitarono neppure a vendere la propria madre, ovvero la propria terra d’origine (la Savoia).


La Padania

Fin qui abbiamo esaminato cosa è che fa si che un popolo possa essere considerato tale. Ebbene, applicando quanto descritto alla Padania si mette a nudo ancora una volta un dato inconfutabile: la Padania non esiste. Ogni regione del Nord Italia è profondamente diversa dall’altra per tradizioni, lingua e quant’altro e tuttavia senza vergogna hanno inventato questa fantomatica Padania, si sono dati una bandiera, che tra l’altro è orrenda, si sono inventati origini celtiche quando poi le loro origini sono latine come le nostre (e come del resto lo sono quelle di spagnoli portoghesi, francesi e rumeni). E’ chiara dunque la mala fede e la volontà di continuare a fare quello che hanno fatto fino ad ora: sfruttarci come manodopera, prendere i nostri soldi depositati negli sportelli bancari di banche che ormai sono tutte del nord per darli alla FIAT che è fallita una decina di volte ed ormai sa che può fallire ad libitum perché tanto paga pantalone.


La situazione oggi

Oggi le popolazioni Duosiciliane, nonostante innumerevoli tracce del passato permangano, ed ancora permarranno per chissà quanti secoli, hanno perso la memoria della propria identità. I ragazzi pugliesi, calabresi, lucani, abruzzesi dopo le superiori non vengono più a Napoli per frequentare l’università ma scelgono direttamente Milano, la Juventus, il Milan, l’Inter e non il Napoli sono le squadre del cuore di coloro i quali provengono da zone del meridione che non hanno nelle immediate vicinanze una squadra di radicata partecipazione ai massimi campionati di calcio nazionali, e spesso siciliani, calabresi, campani, lucani, abruzzesi e pugliesi rimangono divisi da una reciproca cattiva considerazione.

Tutto cio’ è il risultato di 150 anni di sistematica e deliberata cancellazione della storia che fa si che oggi ci sentiamo parte di un’Italianità che non è mai esistita e che amiamo pur essendo causa della nostra schiavitù. E’ necessario che le genti del sud riacquistino la memoria perduta ed inizino, non da domani, ma da adesso, un cammino di recupero delle antiche comuni origini e dell’antica comune Patria.

da: http://www.eleaml.org/nicola/collaboraz/ga_riemersione_verita_cancellata_questione_lingua_nazionalita_2010.html

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Alla riemersione della verità cancellata: la questione della lingua e della nazionalitàultima modifica: 2010-11-29T09:02:00+01:00da tonyan1
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