Nizza e Savoia in festa 150 anni fa l’addio all’Italia

Il Risorgimento rovesciato: si celebrano i plebisciti per l’annessione alla Francia

DOMENICO QUIRICO

CORRISPONDENTE DA PARIGI
solferino.PNGGaribaldi che fece il suo ingresso il 12 aprile 1860 nell’ex sala da ballo di palazzo Carignano non era rigonfiato dalla fama di eroe dei due mondi: niente poncho sudamericano, niente camicia rossa, insomma il Risorgimento non era ancora impersonificato dalla sua apoteosi. Certo la gente lo accompagnava acclamandolo all’albergo Gran Bretagna dove alloggiava. Piaceva questo avventuriero con una istintiva intelligenza della guerra. L’aula del Parlamento era stracolma, i deputati delle nuove province sistemati nelle file più alte, i cosiddetti «antri», dove non si sentiva nulla. Annusavano, quel giorno, battaglia. E grossa, Garibaldi deputato di Nizza, aveva la parola. Tre giorni dopo era fissato il plebiscito per ratificare l’annessione della città, e della Savoia, alla Francia, come stabilito nel trattato di Torino. La vitrea bile del generale non poteva accettare che la ragion di Stato gli rubasse la patria per regalarla a Napoleone terzo, il «bombardatore di Roma», l’uomo dalla politica volpina l’amico dei preti esecratissimi. E che a Villafranca aveva mutilato il Risorgimento della vittoria finale. Garibaldi prese posto nei banchi della sinistra, incastrato fra Rattazzi e Depretis. Qualche testa calda gli aveva proposto una «marcia» su Nizza per rovesciare le urne. Per fortuna non diede loro retta. Scaraventò invece un discorso furibondo di diritto e di storia, citando lo Statuto che vietava di alienare parti dello Stato, ricordando che Nizza era «fedele ai Savoia dal 1388».

Tutto inutile. Cavour, con la solare stagione del ’59 alle spalle, era invincibile. E sapeva maneggiare il suo credito per scassinare l’altrui. Rinfacciò crudelmente al generale l’umiliazione subita nella sua città alle elezioni: aveva ottenuto solo 444 voti, il 72 per cento degli elettori del collegio non era andato a votare. Era questa la città che voleva restare assolutamente italiana? Avrebbe avuto altre delusioni, l’incoercibile generale. I 25 mila 743 voti a favore della Francia contro 160, ovvero il 99,3 per cento per esempio. Il 16 per cento di astensione e qualche paesino vicino alla Liguria renitente non zuccheravano il disastro, in Savoia era andata ancor peggio: 130.533 sì contro 235 no e 71 astensioni, ovvero il 99,8 per cento. Un solo Comune, nel Chablais, votò no: ma non per amore degli italiani, semmai perché voleva essere annesso dalla Svizzera!

Avevano ben trescato gli agenti dell’imperatore, inviati a «fare pedagogia del referendum». Il sindaco di Nizza, Francesco Malaussena, bella tempra di voltagabbana, aveva dato una mano con un proclama già bilingue in cui arrantolava: «Ciascuno deponendo il suo voto pensi a ciò che deve al suo Paese, alla Francia e all’imperatore». In molti seggi, per concimare le scelte dei dubbiosi, mancarono i bollettini con il no. Il corrispondente del Times sparpagliò per queste soppiatterie sulla autorevole gazzetta «la più grande farsa mai giocata nella storia delle nazioni». Un po’ esagerava, ma all’Inghilterra quell’ingrandimento francese, risultava una pietra di inciampo.

Questo primo grumo di precoce antirisorgimento (altri ne verranno con lo svanire a grandi folate dei fumi della epopea rivoluzionaria) era insomma iscritto nei fatti. Ci volevano 40 ore in diligenza per raggiungere da Chambéry Torino; mentre le ferrovie si allungavano tentatrici in Francia. I collegamenti le nuove province le riceveranno infatti in dono con l’annessione. I ricchi mandavano da tempo i rampolli a studiare Parigi, mentre i poveracci lavoravano come giornalieri nelle campagne della Provenza o come muratori a Parigi e a Lione. Persino Nizza aveva di che lamentarsi del «buon governo» di Torino, con Genova che le faceva ormai concorrenza spietata. Appena rinfoderata la folgore napoleonica, tornati sotto «lo scettro paterno del re dei loro padri», savoiardi e nizzardi rimuginavano su un bilancio da zone depresse. Quei Savoia professavano devozione solo alle feconde pianure del Po, non alle avite ma desolate montagne. Quando in agosto Napoleone e l’algida Eugenia in viaggio per l’Algeria passarono a visitare i nuovi dipartimenti fu il momento più bello del loro regno poi incatenato alla tragedia. Ad Annecy, sul lago, organizzarono una grande festa veneziana.

Compiuto il Fato, sarebbe arrivato anche il tempo della delusione. La spiccia Francia centralista aveva mano più dura dei piccoli re di Sardegna, il sistema amministrativo, la coscrizione e la scuola vennero rapidamente omologate, il numero di notai e avvocati ridotto, l’amministrazione delle acque e delle foreste cominciò a pesare sui contadini. E poi c’erano i luoghi comuni, un po’ razzisti: i «savoyards» (come tutte le parole che finiscono in «ard» dotate di un senso peggiorativo), bersagliati come montanari ottusi che pulivano le strade della capitale. Per sfuggire alla dannazione semantica cominciarono a definirsi «savoisien». Per i funzionari essere spediti nei nuovi dipartimenti era una punizione.

La Francia, dove Napoleone il piccolo è tornato di moda, celebra giuliva «il ritorno» di Nizza e Savoia». Giovedì arriverà Sarkozy per pronunciare un discorso a Chambéry. Quale migliore occasione per chiudere tripudiando il verminoso dibattito sulla identità nazionale? Ci sarà qualche striscione del mini partito indipendentista, la Ligue savoisienne, che rivendica un migliaio di iscritti «e cinquemila simpatizzanti». Patrice Abeille, ex consigliere regionale, ribadisce tenace che «il trattato del 1860 è decaduto con il venir meno della zona franca concessa da Napoleone e abolita nel 1919. Parigi occupa dunque illegalmente la Savoia del Nord e del Sud». La lega presenta qualche candidato alle cantonali, certo non per profetare la riannessione all’Italia. Fa propaganda a un progetto di «federazione savoiarda» sul modello svizzero e di cui dovrebbe far parte anche la valle d’Aosta. A Nizza resta come segno di indipendenza il dialetto. Polvere.

 

Da: http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cultura/201004articoli/54269girata.asp

Nizza e Savoia in festa 150 anni fa l’addio all’Italiaultima modifica: 2010-04-24T08:07:42+02:00da tonyan1
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